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L'induismo è la terza religione più diffusa al mondo, con circa 950 milioni di fedeli in tutto il mondo. Non cerca di convertire a sé i credenti di altre religioni, poiché riconosce valide tutte le strade per arrivare alla Verità.
Alla definizione di “induismo”, si preferiscono quelle di SANATANA DHARMA, “la norma eterna”; VAIDIKA DHARMA, la religione del Veda; MATRKA-DHARMA, la Madre di ogni norma.
Il termine DHARMA è l’ordine cosmico di tutta la realtà.
Cinque aspetti sorprendenti della Fede più Antica del Mondo
1. Introduzione
L'Induismo è una delle tradizioni spirituali più antiche e complesse del pianeta, ma la nostra comprensione spesso si ferma a una superficie fatta di immagini esotiche e concetti semplificati. Dietro questa facciata si nasconde una profondità filosofica straordinaria. In questo articolo, andremo oltre i luoghi comuni per svelare cinque aspetti sorprendenti e contro-intuitivi che rivelano l'incredibile ricchezza di questa fede millenaria.
1. Non esiste un fondatore: una fede nata dalla storia
A differenza di quasi tutte le altre grandi religioni, l'Induismo non ha un singolo profeta o fondatore. Le sue origini non sono legate a un singolo evento o a una rivelazione, ma affondano le radici nella civiltà della Valle dell'Indo (2500-1500 a.C.). Da lì, si è evoluto organicamente attraverso i periodi vedico, epico e classico, assorbendo e rielaborando influenze nel corso dei secoli. Questo fa dell'Induismo non tanto una religione "fondata" su un singolo evento, quanto un ecosistema spirituale che ha saputo evolversi e adattarsi, maturando insieme alla civiltà stessa.
2. Più che politeismo
Etichettare l'Induismo come semplicemente politeista è una profonda semplificazione. Al centro del pensiero induista c'è la convinzione che esista un'unica, suprema realtà divina che si manifesta in innumerevoli forme. Un celebre verso del Rigveda, uno dei testi più antichi, riassume perfettamente questo concetto:
"Dio è uno ma i saggi lo chiamano con molti nomi"
Divinità come Brahma (il creatore), Vishnu (il preservatore), Shiva (il distruttore e trasformatore), Devi (la grande dea) e Ganesha (il dio della saggezza e dei nuovi inizi, con la sua iconica testa di elefante) non sono dèi separati, ma piuttosto diversi volti e funzioni dell'unico Divino.
3. L'obiettivo è la liberazione
Mentre molte fedi si concentrano sulla ricompensa in un aldilà paradisiaco, l'obiettivo ultimo dell'Induismo è profondamente diverso. La vita è governata dal Samsara, l'incessante ciclo di nascita, morte e rinascita, a sua volta influenzato dal Karma, la legge universale di causa ed effetto che determina il destino di un individuo nelle vite future.
Lo scopo della pratica spirituale non è assicurarsi un posto migliore nella prossima vita, ma raggiungere il Moksha: la liberazione definitiva dal ciclo stesso. Si tratta di una fuga dalla ruota dell'esistenza, non della ricerca di una sua versione migliore. Questa prospettiva offre una visione radicalmente diversa del significato e del fine della vita spirituale.
4. I testi sacri hanno due livelli di autorità
Questa assenza di un'unica figura fondatrice spiega anche perché il corpus dei testi sacri induisti sia così vasto e gerarchicamente organizzato. Essi sono divisi in due categorie che distinguono tra rivelazione divina e sapienza umana:
• Shruti ("ascoltato"): Questa è la categoria di massima autorità. Comprende testi come i Veda e le Upanishad, considerati rivelazioni divine dirette, verità eterne "ascoltate" dai saggi antichi.
• Smriti ("ricordato"): Questi testi, pur avendo un'autorità inferiore, sono fondamentali per la pratica e la cultura. Comprendono opere immense come il Mahabarata e il Ramayana, che sono state composte da saggi e "ricordate" e tramandate attraverso le generazioni.
Questa non è una semplice classificazione, ma la mappa di un universo intellettuale che sa distinguere tra la voce immutabile del divino (Shruti) e la saggezza, pur fondamentale, degli interpreti umani che l'hanno tramandata (Smriti).
5. Il "dovere" (Dharma) non è uguale per tutti
Il concetto di Dharma è centrale nell'etica induista e viene spesso tradotto come dovere, giustizia o legge morale. L'aspetto più sorprendente, però, è che non si tratta di un codice morale universale e immutabile, valido per tutti in ogni circostanza. Al contrario, il Dharma è contestuale: è "variabile in base alla Casta, all'età e al genere". Questa è una differenza radicale rispetto alle etiche basate su comandamenti universali e immutabili; nel pensiero induista, l'azione giusta è inseparabile dal contesto e dal ruolo dell'individuo.
Conclusione
Come abbiamo visto, l'assenza di un fondatore, la natura non-politeista del divino, l'obiettivo della liberazione, la gerarchia dei testi e la natura contestuale del dovere rivelano l'Induismo come una tradizione "estremamente diversificata e flessibile". È un universo spirituale che sfida le categorie semplici e invita a un'esplorazione più profonda. Cosa può insegnarci questa antica e multiforme visione del mondo sul nostro modo di intendere la spiritualità e l'esistenza stessa?