I primi discepoli
Mc 1,16-20
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Mc 1,16-20
"Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono".
Subito dopo aver narrato l'annuncio di Gesù riguardante la venuta del Regno di Dio, l'evangelista Marco non perde un istante. Con il suo stile narrativo essenziale, catapulta il lettore direttamente nel cuore dell'azione, su una riva. La scena è semplice, quasi fotografica: "Passando lungo il mare di Galilea...".
Tuttavia, a un'analisi più attenta, si nota qualcosa di strano. Aprendo una mappa geografica, si osserva che in Galilea non c'è nessun mare. C'è un grande lago, vitale per l'economia del tempo, ma pur sempre un lago. Sorge quindi la domanda: perché Marco, che conosceva bene quei luoghi, usa la parola "mare"? Si tratta di una svista o di un'esagerazione? La risposta è che si tratta di una chiave di lettura. Una parola scelta con cura per spalancare un significato molto più profondo.
Nella Bibbia, il "mare" non è mai semplicemente una massa d'acqua. È un simbolo potente, quasi un personaggio. Rappresenta le forze del caos, il luogo del disordine, del pericolo e, in definitiva, del male.
Basti pensare a due scene epiche:
L'Esodo: Il popolo d'Israele è schiavo in Egitto. Per raggiungere la libertà, deve attraversare il Mar Rosso. Il mare è l'ostacolo mortale, l'immagine stessa della schiavitù che tiene prigioniero il popolo. Solo l'intervento di Dio può aprirlo e trasformare una barriera di morte in un sentiero di vita, richiudendosi poi sui nemici. Attraversare il mare significa sconfiggere il male e nascere alla libertà.
L'Apocalisse: Nell'ultimo libro della Bibbia, Giovanni ha una visione del futuro definitivo, il cosiddetto "paradiso". La descrizione di questo luogo di pace assoluta è netta: "Vidi un cielo nuovo e una terra nuova... e il mare non c'era più" (Ap 21,1). Nel compimento del Regno di Dio, dove ogni lacrima è asciugata e il bene trionfa, il mare, simbolo del male e del caos, semplicemente scompare. Viene annientato per sempre.
Tornando alla scena, se il "mare" è l'arena della lotta contro il male, allora Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni non sono solo dei pescatori. Sono uomini immersi in questo "mare": la fatica del vivere, l'ingiustizia dell'occupazione romana, la povertà, la paura del futuro, il dolore che segna l'esistenza di ogni persona. Il loro lavoro consiste nel lottare ogni giorno per strappare al "mare" di che vivere.
È qui, in questo scenario denso di significato, che Gesù cammina. E vede. Vede la fatica di quegli uomini, ma anche il loro potenziale. E la sua chiamata è una promessa che sconvolge ogni logica:
«Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini».
È fondamentale riflettere sul significato di queste parole. Non si tratta di un semplice cambio di lavoro, ma di un capovolgimento di prospettiva. La promessa di Gesù è la proposta di imparare a tirare fuori le persone dal "mare" del male che rischia di inghiottirle. Non più un'azione per trarre i pesci dall'acqua, ma per trarre gli esseri umani dal caos e restituirli alla vita, alla speranza e alla loro piena dignità.
Essere discepolo, in quest'ottica, non significa imparare semplicemente dei riti religiosi. Significa entrare in una missione: diventare esperti di umanità, capaci di prendersi cura degli altri, di salvare, di liberare. Significa credere che la felicità non sia un'utopia, ma un progetto che si costruisce attraverso la cura reciproca.
La risposta dei chiamati è fulminea, quasi irrazionale: "E subito, lasciate le reti, lo seguirono". Questo gesto ha un peso enorme. Le reti non erano un passatempo, ma rappresentavano il lavoro, la sicurezza economica, il futuro. Giacomo e Giovanni lasciano persino il padre, il legame familiare più sacro.
Cosa hanno visto in quello sguardo di Gesù? Quale promessa hanno colto nelle sue parole per abbandonare tutto in un istante? Si può dedurre che abbiano percepito la possibilità di un mondo migliore, di una vita più piena, non come un sogno lontano, ma come una realtà concreta, presente in quell'uomo davanti a loro. Hanno compreso che la forza più grande di ogni ingiustizia non è la rassegnazione, ma è l'Amore che si fa persona e chiama per nome.
Quel "subito" è la scintilla della fede. È la dimostrazione che esistono persone pronte a scommettere tutto su un ideale, convinte che l'umanità possa aspirare a qualcosa di più grande.
L'avventura del Vangelo inizia così: con un incontro, una chiamata a uscire dal mare delle paure e una risposta coraggiosa. È una storia antica, ma la domanda che essa pone risuona ancora oggi, invitando a una riflessione personale: qual è il "mare" che tiene prigioniero l'essere umano? Ed esiste la prontezza a lasciare le proprie "reti" per seguire una promessa di vita piena?
PROVA SE LA SAI ...